Un ragionamento a freddo a partire dal 18 marzo sul conflitto che verrà in Europa

da Globalproject

 

Hey, ma quel palazzo?”

“ E’ la BCE…”

“Vista da così vicino non è poi un granché”

Da due manifestanti durante i blocchi del 18 marzo

Il contrattacco post-Blockupy

La nuova settimana si è aperta positivamente agli occhi dell’opinione pubblica europea: i mercati tirano un sospiro di sollievo nell’attendere un prossimo accordo bilaterale tra Merkel e Tsipras a seguito del loro primo incontro a Berlino. E, infatti, la speranza dei potentati finanziari, la cui eco è amplificata dai giornali main stream di tutta Europa, è che si forgi un patto affinché la “crisi geopolitica” interna all’Unione si arresti. La vittoria di Syriza alle elezioni greche e la proposta del programma di riforme umanitarie non costituiscono soltanto un affronto contingente al dogma della competitività, dell’equilibrio dei prezzi e del pareggio di bilancio: nascondono un potenziale di dissoluzione dei principi fondativi dell’Unione Europea figlia del Trattato di Maastricht. La richiesta riformista di ri-finanziamento del welfare, il diritto all’abitare e alla salute, nonché l’aumento dei salari e delle pensioni, sono punti programmatici che ovviamente possono essere attuati all’interno del presente assetto della governance ma si espongono anche ad un suo rivolgimento, a partire dal ruolo stesso della BCE e del potere della moneta. La rivendicazione del controllo democratico della risorse monetarie, dalla loro produzione fino all’indirizzamento, e della decisione politica mette in crisi le condizioni formali e materiali sulle quali si basa il ricatto del debito, dispositivo di disciplinamento del lavoro vivo a favore del profitto e della rendita finanziaria. Le politiche monetarie della BCE che spingono verso l’inflazione al solo fine di raddoppiare i rendimenti delle azioni delle banche, l’esclusione degli Stati membri dalle misure di garanzia per i prestiti e di circolazione, funzionali ad un comando post-democratico della cittadinanza europea e delle migrazioni, verrebbero messe in crisi dalla ridistribuzione della ricchezza e da una sovranità (post-statuale) esercitata dal basso.

Questa potenza, tuttavia, non è nelle mani delle sole esperienze istituzionali, o di “verticalizzazione” delle lotte sociali. E’ una potenza che deve crearsi a livello societario, nella relazione biopolitica che ha fabbricato le soggettività dell’Europa ordoliberale; è una potenza che poggia sulla destituzione della governance e l’affermazione di un’alternativa condivisa e valida per i molti, producendo nuove soggettività. Lo spiraglio aperto da Syriza e dai movimenti greci degli ultimi anni ha bisogno di essere spalancato in una vera e propria finestra i cui cardini sono forzati dalla ribellione di massa, dalla solidarietà attiva e da un progetto comune transnazionale. Il germe, l’inizio di tutto questo, possiamo vederlo nella meravigliosa giornata del 18 marzo a Francoforte? Con facile ironia possiamo ridere di fronte all’auspicio di un nuovo sodalizio tra la Grecia e la Germania nell’interesse generale del Vecchio Continente (dunque nei termini del capitale), come se decine di migliaia di europei non avessero dimostrato mercoledì scorso che il futuro dell’Europa si debba dare al di fuori di questo paradigma. E’ interessante capire che l’incontro tra Merkel e Tsipras è un indice della volontà di normalizzare al più presto un cambiamento che rischia di diventare transnazionale.

Dal globale al locale e viceversa

Non c’è dubbio che questa edizione di Blockupy sia stata un successo: da tre anni dalla sua nascita mai si era visto un tale spazio di agibilità politica dei movimenti. Frutto del lavoro costante degli e delle attivisti/e del territorio francofortese e delle reti tedesche da una parte, dall’altra del continuo respiro transnazionale e della costante partecipazione “straniera” alle mobilitazioni contro l’Eurotower. Il risultato eccezionale di quest’anno, dovuto all’allargamento delle istanze e delle vertenze politiche, è stato in primis la riaccensione di una vivacità del conflitto sociale in Germania – nel cuore della bestia – dovuta alla condensazione di ciò che è stato sedimentato negli ultimi anni. Di questo ci hanno parlato sia la mattina che il pomeriggio del 18 marzo non solo in termini numerici ma anche per la qualità del discorso e delle pratiche. Poco importa la reazione mediatica tedesca del day after, la quale riduce Blockupy ad un’ “orgia della violenza” riprendendo il meccanismo tipico dello schiacciamento del portato dell’intera giornata ad alcuni episodi per cancellarne il composito discorso politico. Persino Draghi ha dovuto dire ai suoi ospiti, costretti a raggiungere l’Eurotower in elicottero e accerchiati da centinaia di metri di filo spinato e transenne della polizia, che l’indignazione è naturale nei momenti più difficili, sebbene – secondo lui – non sia orientata giustamente.

I movimenti e le organizzazioni tedesche di Blockupy hanno saputo riaccendere a partire dal piano europeo. La locomotiva a trazione neoliberale sta iniziando in questi tempi a subire le conseguenze della deflazione e la crescita della disoccupazione:  opporsi all’autorità della Bundesbank e di Frau Merkel implica assumere e riconoscere il  loro ruolo e peso specifico che rivestono nella complessità europea. Non solo le lotte per i diritti dei rifugiati e per la libertà di movimento non possono che darsi in un contesto comunitario, ma il fervore dei lavoratori della logistica e dei servizi sociali attorno al diritto di sciopero è nato in un continuo rimando a Blockupy, per lo meno nella regione di Francoforte. Respingere il regime della crisi in Germania significa diffondere solidarietà attiva, proiettare sul livello europeo il conflitto sociale e le tensioni costituenti che sottende rompendo la divisione tra Nord e Sud, senza mai scordare le differenziazioni intrinseche tra i due poli del Vecchio Continente;  vuol dire che per attaccare il templio dei sacerdoti dell’austerità è necessario comprendere fin dove si estende il suo raggio di azione, conoscerne il raggio di azione entro cui la catena del profitto e della rendita continua ad alimentarsi. Come sarebbe possibile per la Germania implementare l’accumulazione capitalista, se non tramite l’adozione del suo neomercantilismo nel panorama della moneta unica? O più semplicemente, come potrebbe ottenere consenso con i Mini Jobs e le restrizioni salariali, se non colpevolizzando l’Europa mediterranea e assicurandosi uno status di stabilità?  Il riconoscimento della responsabilità specifica del governo e del mondo finanziario tedesco nella decisionalità europea è stato il trampolino di lancio per un intervento locale in Germania. Invertendo i termini della relazione logica “dal locale al globale” dei movimenti dell’inizio del Duemila, possiamo dire che i movimenti tedeschi hanno operato – grazie a Blockupy e a partire dalla sua costruzione – dal “globale al locale”, e viceversa. Il ritorno dell’istanza locale innalzata su di un ragionamento più ampio è stato possibile proprio grazie all’eterogeneità e al carattere complessivo della coalizione di Blockupy.

Le differenze e gli ambiti settoriali si sono composti nella piattaforma transnazionale condividendo e producendo comune politico, sia nella contrapposizione alla BCE che nella richiesta di diritti sociali e democrazia dal basso – sbarazzandosi della gerarchizzazione tra Stati e delle velleità sovraniste allo stesso tempo. Per questo abbiamo visto per le strade di Francoforte chi si batte per i commons stare accanto ai lavoratori in sciopero, agli attivisti dei collettivi e dei centri sociali da tutto il Continente, alla cittadinanza più larga, ai migranti; questo era ed è il senso insito nell’assunzione delle varie sfumature cromatiche dei blocchi mattutini e della loro unità non sintetizzabile  nell’arcobaleno. Il focus sulla composizione eterogenea e sull’ampiezza dei contenuti di Blockupy non deve far cadere nell’errore che sia uno spazio generalista, in quanto è invece indice della possibilità di aprire in Europa un progetto comune su di un’alternativa praticabile da molti. Come si può fare tutto questo? Sicuramente il livello dell’opinione e della risonanza di ciò che è accaduto in Grecia è un impulso, il quale però trova la sua linfa nelle pratiche e la sua realizzazione nell’insubordinazione ai dogmi del comando e della moneta.

Corpi, spinte, barricate, protezioni. Ovvero: come si blocca una città?

L’atipicità sorprendente di Blockupy, oltre alla sua progressiva crescita, è stata in particolare una rispetto ad altri spazi politici transnazionali: l’aver affiancato ai meeting e alla discussione un dispositivo di mobilitazione e organizzazione. Il confronto tra le varie realtà di Blockupy ha dato vita ad un impianto pensato per bloccare l’accesso alla Banca Centrale e interrompere la normale quotidianità produttiva della city finanziaria. Lo scorrere dei trasporti e della mobilità, la messa a valore della vita quotidiana nei quartieri attorno all’Eurotower sono stati messi in difficoltà dalla presenza degli attivisti fin dalla prima mattina. La disobbedienza civile dei partecipanti, e stabilita nel documento dell’Action Consensus della coalizione, ha permesso di forzare ancora una volta l’apparato formale della legge tedesca e quello repressivo della Polizei. Il mantenimento dei blocchi nei punti nevralgici della città, la volontà determinata di superare i cordoni polizieschi, l’uso delle barricate per difendersi dalle cariche, i cortei non autorizzati, hanno scalzato la gestione dell’ordine pubblico permettendo di eccedere gli schemi già sperimentati negli anni passati e di scalzare il consueto comportamento della polizia. In un certo modo possiamo dire che lo spirito della Comune di Parigi si è fatto risentire quel giorno: è stato dimostrato che la cooperazione tra i movimenti europei ha la capacità di imporre un blocco e dei danni economici alla metropoli dell’austerità. Questo è ciò che hanno visto i potenti rinchiusi nella BCE e che di sicuro gli altri Capi di Stato e gli attori finanziari non si sono fatti sfuggire (vedi, di nuovo, la pressione per un nuovo patto tra Grecia e Germania). Questa è la potenza di una pratica dello sciopero, quando in un normale giorno di lavoro i cittadini rifiutano di adempiere agli obblighi lavorativi per fermare la (ri)produzione della rendita e del profitto del capitale: contro la prima interferendo con i meccanismi di estrazione del valore nella circolazione e nelle relazioni quotidiane nel non-tempo di lavoro, contro il secondo facendo perdere alla produzione quelle ore di plusvalore relativo e assoluto con la propria assenza sul posto di lavoro. Quando l’organizzazione delle pratiche di resistenza e di sabotaggio incide su di questo, si può dire che una pratica dello sciopero sociale metropolitano è stata attuata – una serie di perfomances che non possono essere ridotte ad un corteo in un qualsivoglia tempo e luogo. Francoforte si è bloccata perché si è agito quando inizia il normale giorno di sfruttamento e laddove ci sono i punti di accesso al centro città. Il 18 marzo c’è stata l’inaugurazione di uno spettacolo, il début di un protagonista tutto europeo il cui copione deve ancora essere scritto nei mesi a venire.

Certo, non tutto è andato liscio. Il nostro blocco blu, per esempio, dopo le ore passate a bloccare l’autostrada, i binari e a manifestare per la città è stato interrotto dalla kettle tipica delle polizie nordiche. In quei momenti per la città si potevano vedere azioni lampo di sanzionamento, automobili della polizia incendiate e  riot contenuti ed improvvisati. Ora, queste azioni devono essere comprese nella loro non-contrarietà al quadro complessivo della giornata: non esistono pratiche “buone” o “cattive” in sé, semplicemente il discrimine sta nella conseguente produzione di soggettività comune, oppure nel suo contrario. Da questo punto di vista, benché fuori dall’Action Consensus, le azioni in questione non sono state antagoniste al piano discorsivo e di intervento di Blockupy, ovvero non si sono sovrapposte per sovradeterminare o ostacolare il suo piano operativo comune; in un certo senso, sono state anche compatibili nello sguardo d’insieme sull’intera giornata. D’altra parte è anche vero che la forma di radicalità che rappresentano è estemporanea e possibile solo a margine di situazioni organizzate attraverso processi pubblici, plurali e dal carattere moltitudinario.

Per quanto le azioni lampo possano essere considerate legittime, anche se ben mirate e in grado di disorientare i dispositivi repressivi polizieschi, non sono interne alla sfera pubblica: prive di vocazione maggioritaria, di quella capacità di parlare a tanti ed essere immediatamente praticabili e riproducibili in forma moltitudinaria, facendo venire meno l’impulso all’uso collettivo della forza. La questione della riproducibilità dello stile della piazza non parla solo della sua efficacia, ma deve rispondere inevitabilmente a due domande: quanti e quali altri saranno coinvolgibili e potranno replicare queste pratiche?

L’agire nella forma corteo – a noi più familiare – o “bloc” tipico del Nord Europa implica in alcune situazioni l’accerchiamento poliziesco: è dunque tempo di aprire una riflessione sulla commistione necessaria tra radicalità e dimensione pubblica. Questo dibattito è fondamentale per immaginare e riapplicare modelli utili alla diffusione dei conflitti, per portare l’indignazione al di là della mera produzione di opinione, agendo in tante e tanti in modalità al contempo plurali, fluide e certo non monolitiche né puramente estetiche.

Il 18 marzo, nelle molteplici forme dei blocchi e dei cortei selvaggi sin dalle prime luci dell’alba, si è intravista questa dimensione, completamente espressa nel pomeriggio con l’imponente march. Su questo punto è bene essere chiari: le 25000 persone non esprimono di per sé radicalità in quanto spazio pubblico eterogeneo e ampio. Piuttosto vanno inserite nel quadro della radicalità che si è data alla mattina, la quale ha qualificato un nuovo spazio pubblico entro cui i molti hanno preso posizione creando continuità con le azioni diffuse e la disobbedienza civile; così come la straordinaria presenza non si è fatta scoraggiare né dai riot né dal terrorismo securitario delle forze dell’ordine. L’organizzazione e la messa in atto delle azioni della mattina essendo state condivise ed esposte al contesto moltitudinario ha di fatto creato un nuovo spazio pubblico a partire dalla rottura con la legalità formale e le attitudini quotidiane. Ovviamente, l’uso delle pratiche è una ricerca continua che dobbiamo riportare nelle nostre discussione al fine di perfezionarle.

Questo non è un contro-vertice, ma un futuro possibile per l’Europa.

La forma fallica, lo sviluppo verticale e la distanza dal quartiere dell’architettura dell’Eurotower è più che un simbolo. E’ il segno della lontananza tra il piano immateriale e autoreferenziale della finanza rispetto alla vita della cittadinanza. Ci siamo arrivati sotto sfidando i divieti e questa sacralità che riveste, delegittimandola fino in fondo. Tuttavia non bisogna fermarsi al carattere destituente del 18 marzo, perché i risultati di quella data non possono essere limitati alla categoria del contro-vertice. Non solo per l’intensificazione delle lotte territoriali dentro Blockupy, ma perché è stata colpita duramente la città come luogo fisico dei principi cardine dell’Unione Europea, mettendo sotto scacco i punti nevralgici di Francoforte; e poi perché i blocchi erano anche una difesa della progettualità condivisa che caratterizza l’intervento politico di ciascuno nel proprio territorio.

Più che l’assedio dei perimetri fisici dell’Eurotower, l’intelligenza e la potenza dei movimenti si sono espresse colpendo le  radici metropolitane della torre ed il sistema di consenso che la regge, che non ha un limite geografico. Crediamo che dalle strade di Francoforte esca un’indicazione pratica e teorica molto precisa, che siamo pronti a riportare dal piano europeo al locale, nelle lotte di ogni giorno, attorno e contro ogni nodo di potere della governance continentale. Gli ultimi tre anni hanno visto la nascita e l’affermarsi di un comune poltico basato su di una prospettiva e un orizzonte condivisi in tutto il coordinamento internazionale: ora la continuazione di Blockupy contiene la sfida dell’elaborazione di un programma per una Europe from below  e dell’immaginazione delle pratiche che ne rendano possiblie l’affermazione; all’analisi teorica ed alla stesura dell’agenda di mobilitazione si deve accompagnare la costruzione delle forme del mutualismo che siano espressione di una direzione condivisa tra realtà, fatta di attuazione di nuove pratiche radicali, riflessione accurata e progetto.

Centri Sociali del Nord-Est

 

*immagine di copertina by Mirko Smerdel