I consumi di carne continuano a crescere e a “mangiarsi” il pianeta
Recenti dati pubblicati dal Worldwatch Institute e dall’Earth Policy Institute (vedasiwww.worldwatch.org e www.earth-policy.org ) ci forniscono il preoccupante quadro della crescita del consumo di carne a livello mondiale con ovvie e significative ripercussioni, ad esempio, sullo stato di salute degli ecosistemi della Terra, sul flusso di materia ed energia mobilizzato dai metabolismi sociali rispetto a quelli naturali e sulla crescita delle emissioni di gas climalteranti che derivano dalle attività agricole.
Il Worldwatch Institute che ha recentemente reso noto l’ultimo rapporto “State of the World 2012” dedicato al tema “Verso una prosperità sostenibile” (la cui edizione italiana, pubblicata, come di consueto dalle meritevoli Edizioni Ambiente, sarà presentata a Milano, al Museo della Scienza e della Tecnica, il 29 maggio prossimo), in una recente analisi relativa ai Vital Signs ai segni dei trend globali che disegnano il nostro futuro (vedasi http://vitalsigns.worldwatch.org ), fornisce il quadro della crescita degli animali da allevamento nel mondo.
Il numero di polli destinati al consumo umano è cresciuto del 169% dal 1980 al 2010, portandosi da 7.2 miliardi di individui a 19.4 miliardi di individui. Durante lo stesso periodo la popolazione di capre e pecore ha raggiunto i 2 miliardi e la popolazione dei bovini è cresciuta del 17% raggiungendo 1.4 miliardi.
Secondo i dati del Consultative Group dell’International Agricultural Research le stime di crescita al 2050 prevederebbero una popolazione globale di polli di circa 35 miliardi, di capre e pecore di 2.7 miliardi e di bestiame di 2.6 miliardi.
La popolazione attuale di individui sottoposti ad allevamento umano tra bovini, capre, pecore, polli, maiali, dromedari, anatre, lepri, conigli, tacchini, oche ecc. è passata da i 9 miliardi del 1970 ai 26.7 miliardi attuali, come indicano i dati di FAOSTAT, il database statistico della FAO, sistematizzato dal Worldwatch Institute. I maiali, per esempio, sono passati dai 547 milioni del 1970 ai 965 milioni del 2010.
La domanda di carne, uova e prodotti caseari è andata significativamente incrementando nei paesi in via di sviluppo, particolarmente in quelli di nuova industrializzazione. In questi paesi infatti il consumo pro capite di latte si è quasi raddoppiato tra il 1980 ed il 2005, quello di carne si è triplicato e quello di uova è aumentato di cinque volte.
Il maggiore incremento si è avuto nei paesi dell’Asia del sud-est e dell’est. In Cina il consumo pro capite di latte è aumentato da 2.3 kg nel 1980 a 32.2 kg nel 2005, mentre quello di carne è quadruplicato nello stesso periodo e quello di uova è salito da 2.5 kg pro capite a 20.2 kg.
Circa il 75% delle nuove malattie che affliggono il genere umano dal 1999 al 2009 originano negli animali e nei prodotti derivanti da animali, sempre secondo le analisi e le stime della FAO dedicate alla zootecnia intensiva, definita in acronimo CAFO che significa Concentrated Animal Feeding Operations, che è diventata il modello maggiormente perseguito in tutto il mondo.
La zootecnia intensiva produce un alto livello di rifiuti, uno straordinario utilizzo di acqua e di terra, gioca un ruolo significativo nella perdita di biodiversità, contribuisce al cambiamento climatico con le emissioni del 18% delle emissioni globali di gas serra. Inoltre l’allevamento del bestiame costituisce una delle maggiori cause di deforestazione: è responsabile di una percentuale tra il 65 e l’80% della deforestazione in Amazzonia.
Come ci ricorda un recente update dell’Earth Policy Institute (“Meat Consumption in China now double that in the United States” di Janet Larsen) più di un quarto di tutta la carne prodotta a livello mondiale è oggi consumata in Cina. Nel 1978 il consumo di carne in Cina era di 8 milioni di tonnellate, un terzo di quelle statunitensi che erano di 24 milioni di tonnellate. Nel 1992 la Cina ha sorpassato gli Stati Uniti come paese leader nel consumo di carne a livello mondiale. Oggi il consumo annuale di 71 milioni di tonnellate in Cina è più del doppio di quello degli Stati Uniti. Del consumo di carne cinese i tre quarti sono costituiti da carne di maiale e metà della popolazione mondiale di maiali da allevamento, circa 476 milioni di individui, si trova oggi in Cina.
Con il consumo di carne di maiale che si stima possa raggiungere i 52 milioni di tonnellate nel 2012 in Cina, questo paese si colloca decisamente al primo posto per il consumo di carne di maiale, mentre gli Stati Uniti restano dietro con circa 8 milioni di tonnellate sempre nel 2012. Negli USA in consumo di carne di pollo e di manzo è più diffuso. Per quanto riguarda infatti la carne di manzo la Cina ne consuma sui 6 milioni di tonnellate annue, mentre gli Stati Uniti sugli 11 milioni l’anno.
Bisogna comunque sempre ricordare che la popolazione cinese è di oltre 1 miliardo e 345 milioni, mentre quella degli Stati Uniti è di 313 milioni. Ancora una volta appaiono evidenti le differenze del consumo pro capite. Inoltre la politica agricola industriale estensiva diffusa in tutto il mondo prevede un largo consumo della produzione agricola di base da destinare agli allevamenti animali di bestiame, maiali, pollame e persino acquacoltura.
La Cina, ad esempio, ha registrato nel 2011 la maggiore produzione agricola mondiale ma un terzo di questa produzione è stata destinata ad alimentare gli animali da allevamento. Una tipica componente dell’alimentazione degli allevamenti animali è costituita dalla soia. L’incredibile incremento del consumo di carne in Cina ha alterato diversi paesaggi nel mondo dove la terra coltivata a soia sta ormai oltrepassando quella destinata a grano e mais. La Cina nel 2011 ha prodotto 14 milioni di tonnellate di soia ma ne ha consumate ben 70 milioni di tonnellate. Molte aree di foresta e savana sono state distrutte per fare posto alle monocolture di soia.
Un ulteriore interessante lavoro scientifico apparso recentemente su “Environmental Research Letters” ed elaborato da Eric Davidson del prestigioso Woods Hole Research Centre statunitense, dal titolo “Representative concentrations pathways and mitigation scenarios for nitrous oxide” affronta il grave problema delle continue emissioni di protossido di azoto prodotte dall’intervento umano. Si tratta del terzo gas antropogenico più importante come fattore di incremento dell’effetto serra naturale e tra i più importanti attori antropogenici della distruzione della fascia di ozono nella stratosfera.
L’accelerazione delle emissioni di questo gas è fortemente legato alla produzione alimentare umana ed alle attività agricole connesse. Davidson affronta il problema di quali azioni siano necessarie per ridurre le emissioni di questo gas, confrontandole con i quattro pathways che sono considerati nel nuovo rapporto, il quinto, dell’IPCC sui cambiamenti climatici (che dovrebbe essere reso noto tra la seconda metà del 2013 ed il 2014). Si tratta dei cosidetti Representative Concentration Pathways (RCP). Per raggiungere la stabilizzazione delle emissioni di protossido di azoto entro il 2050 che siano consistenti con gli scenari di mitigazione più significativi delle RCP, è necessaria una riduzione del 50% nel livello di consumo pro capite del mondo sviluppato (nel quale bisogna cominciare a considerare i paesi di nuova industrializzazione).
Le sfide che un futuro sostenibile ci pone sono veramente enormi e, purtroppo, gli andamenti attuali, come abbiamo visto nel caso specifico del consumo di carne a livello mondiale, stanno andando nelle direzioni opposte a quelle ragionevoli e logiche. Ecco perché risulterà ancor più importante e significativo quanto i paesi del mondo riusciranno a decidere in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile prevista per giugno a Rio de Janeiro.