di Antonio Onorati

L’agricoltura contadina non è “datata” né inefficiente, ma la Fondazione Gates propone ai contadini di “modernizzarsi”, indebitandosi e perdendo sovranità

Bill Gates non si è accorto che sono passati 60 anni dalla prima rivoluzione verde. E non ha letto, neanche su internet, le migliaia di pagine di critiche a quel modello d’agricoltura. Peccato perché rischia di gettare al vento quei 200 milioni di dollari che ha promesso alle Nazioni Unite. Insiste ancora che la fame sia il risultato di un tecnological-divide e non di errate politiche pubbliche che, favorendo il dominio di un sistema agricolo globale a carattere minerario – che toglie alle risorse naturali che sono alla base dell’agricoltura più di quanto ne restituisce – hanno permesso un’elevata produzione di valore nelle catene dei sistemi alimentare, valore che finisce in un numero di mani sempre più ristretto. Siano mani che controllano le multinazionali, i fondi di investimento speculativi, la rendita fondiaria, le elite locali nei paesi poveri, i laboratori dell’ingegneria genetica.

Malgrado lo sforzo poderoso fatto dai governi dominanti, dalle Nazioni Unite (spesso), dalla cooperazione internazionale, 1,3 miliardi di piccoli produttori di cibo, o se volete oltre 500 milioni di piccole aziende in questi 60 anni ancora “non sono stati raggiunti, per fortuna, dal quel trasferimento tecnologico figlio del modello industriale di agricoltura che si è imposto proprio grazie alla fame, come dice anche il presidente Monti, intervenuto alla riunione del Consiglio governativo del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), sostenendo che «stiamo mettendo una pressione insostenibile sulle risorse naturali mentre continua ad esistere il problema della fame: un mondo così è ingiusto e di conseguenza anche instabile».

L’agricoltura contadina, attraverso il pianeta e specialmente nei paesi poveri, è quella che produce il 75% dell’alimentazione, ma non è né “datata” né “inefficiente” perché – malgrado la concorrenza sleale che mettono in campo i monopoli, le elite locali e le loro politiche, i detentori dei pacchetti tecnologici, gli accaparratori di terre – resistono e continuano a produrre, cercando di adattarsi ai cambiamenti economici – le grandi crisi -, ecologici e sociali. Creano ogni giorno innovazione nei prodotti, nei processi di produzione, nella messa al mercato dei prodotti e degli alimenti. Sfamano il mondo e, prima di tutto, i poveri. Si stima che almeno il 60% degli affamati siano contadini, non perché “non sanno coltivare” o “producano in modo inefficiente” ma perché non hanno abbastanza controllo sulla terra di cui vivono, sull’acqua che debbono usare, sulle sementi da spargere nei campi, sulle terre da pascolo o sull’organizzazione del mercato interno nel loro stesso villaggio, comune, regione, paese. Con la loro resistenza costruiscono le alternative per il futuro, quelle sono le innovazione da scambiare, non da trasferire. Quelle donne e quegli uomini nei campi non sono otri da riempire ma esseri umani che fanno un lavoro duro per vivere, un lavoro che fa vivere tutti noi. Non conducono taxi, conducono esseri viventi perché producano cibo. E l’Ifad, che è una banca pubblica gestita dai governi, dovrebbe fare il suo mestiere ed ascoltare i suoi principali clienti, i contadini poveri, come è scritto nella sua missione. O crediamo che dovrebbe ascoltare chi mette i soldi? Per questo non possiamo accettare che l’Ifad, formalizzando un patto di collaborazione con la Fondazione Gates, riconoscendo “… il forte allineamento strategico tra le due organizzazioni, e il loro ruolo di finanziatori della ricerca agricola e dello sviluppo nelle regioni più povere del mondo” dichiari che “l’accordo si baserà sul partenariato e sul rafforzamento del lavoro comune in corso a sostegno dei piccoli agricoltori nei paesi in via di sviluppo”. Ed il signor Bill Gates ha le idee chiarissime su come si debba procedere, poiché “la colpa è della mancanza di coordinamento tra politiche nazionali, agenzie e donatori, che non stanno lavorando in modo coordinato e focalizzato per raggiungere i piccoli produttori”. Sarà lui a spiegare come procedere, a fissare le priorità ed il modello d’agricoltura da imporre ai contadini poveri: Ogm, contratti di coltivazione, agro energie e l’intensificazione produttiva attraverso un uso accresciuto di input produttivi “migliorati” (sementi e chimica) di origine industriale e, quindi, essenzialmente acquisiti attraverso il mercato globale. Indebitarsi per modernizzarsi. Una storia già vista. La crescita della produzione come sinonimo della crescita del benessere dei produttori. Evidentemente nessun cambiamento delle responsabilità delle elite e dei paesi dominanti. E contro la volatilità dei prezzi aumentiamo il finanziamento ai contadini così che possano assicurarsi con le grandi compagnie d’assicurazione. Contro gli impatti del cambio climatico, li finanziamo per poter acquistare “innovazione tecnologica”, cioè Ogm. Per vedere al meglio i loro prodotti ed ottenere prezzi capaci di remunerare il loro lavoro li stringiamo dentro gli obblighi dei contratti di coltivazione, così i mille ipermercati che si vogliono aprire in Africa potranno meglio erodere lo spazio che oggi i contadini, con i loro prodotti locali, occupano nei mercati interni. Ci sembra, invece, di intravedere un’altra direzione nelle parole del presidente del Consiglio Monti quando afferma la responsabilità prima degli Stati: “…l’Italia continuerà a sottolineare la necessità di non dimenticare la nostra responsabilità comune nella lotta alla fame e nello sviluppo di un sistema alimentare globale sostenibile e giusto. Ed un sistema alimentare giusto, oltre che sostenibile, deve avere solide basi. La prima di queste è l’accesso alla terra per i piccoli produttori di cibo, la garanzia di poter continuare a produrre senza essere deportati, la difesa dei loro diritti individuali e collettivi fondamentali e – primo fra tutti – il diritto a produrre. Sarebbe una gradita sorpresa se il governo italiano volesse dare un forte segno di sostegno al negoziato tra i Governi per le “Guidelines for Responsible Governance of Tenure of Land, Fisheries and Forests” che vedrà la sua fase conclusiva dal 5 al 9 marzo prossimo alla FAO, inviando il Ministro Catania.

Tratto da:
www.sbilanciamoci.info