professore emerito di chimica ambientale all’università
St Lawrence di Canton, New York, e
padre della teoria “Zero waste” (“Rifiuti zero”)
direttrice del Centro Riciclo Vedelago
È veramente possibile, qui in Italia e con le conoscenze di oggi, attuare una strategia “Rifiuti zero”?
se sì, quali sono le prime mosse necessarie per un intervento in questa direzione?
CONNET – La chiave per dare avvio al modello “rifiuti zero” è il porta a porta. Il porta a porta è il trampolino per i rifiuti zero, e i rifiuti zero il trampolino per la sostenibilità.
POLI – Più che di strategia “rifiuti zero” parlerei di gestione dei materiali post consumo finalizzata al massimo recupero di materia. Di conseguenza il primo passo consiste nell’individuazione e nella determinazione di flussi omogenei in modo da poterli raccogliere e avviare alle specifiche filiere di recupero e riciclo.
Come affrontano il problema rifiuti gli altri Paesi europei sviluppati?
CONNET – Quei Paesi sono intrappolati dall’incenerimento. Francia, Germania, Olanda, la maggior parte dei Paesi scandinavi, ecc. hanno costruito troppi inceneritori e ora devono alimentarli. Non hanno lo stesso stimolo per i rifiuti zero rispetto a coloro che non hanno inceneritori. Eppure quello dei rifiuti zero è proprio un modo per evitare l’incenerimento. Ciò che distingue l’Italia è la passione: in vari stati europei la discussione sull’incenerimento è ormai vecchia; in Italia è un dibattito nuovo.
POLI – Da tempo in Europa, ma anche al di fuori, si è passati dal concetto di “rifiuto” alla consapevolezza che è possibile studiare e implementare, nei modi e con metodi diversi a seconda delle particolarità del territorio, una catena produttiva, economica e sostenibile che parte dalla produzione di un bene e, dopo l’uso, ritorna alla produzione di un nuovo bene.
Secondo molti quello dei rifiuti è solo un business, e gestione razionale, difesa ambientale e tutela della salute non sono variabili contemplate. si sbagliano? Perché?
CONNET – sbagliano su due fronti: innanzitutto nel ventesimo secolo l’incenerimento era una questione di salute e ambiente, mentre nel ventunesimo secolo si tratta di una questione di sostenibilità. L’incenerimento non è per nulla sostenibile: se tutti consumassero come un americano medio, avremmo bisogno di quattro pianeti, se facessero come un cittadino europeo, ce ne servirebbero due. Poi ci sono Paesi come India e Cina che stanno aumentando sempre più i loro consumi. Qualcosa deve cambiare, e il modo migliore è partire dai rifiuti.
POLI – Chi pensa al solo business dei rifiuti si riferisce ai tradizionali metodi di smaltimento, ovvero la distruzione delle materie prime di cui sono costituiti con trasferimento del problema ambientale nei territori e nel tempo. Avviare le filiere di recupero e riciclo significa affrontare, studiare e dare risposte scientifiche ed economiche ai problemi derivanti dalla gestione sostenibile (e con questo termine intendo raggruppare tutti gli aspetti connessi al circuito produttivo).
Perché in Italia si parla tanto di raccolta differenziata per i rifiuti urbani mentre invece i rifiuti industriali (anche carta, vetro o legno) vengono smaltiti senza alcun particolare riguardo?
CONNET – Ci sono più rifiuti nel settore industriale e commerciale, ma sono più facili da riciclare e usare perché più omogenei (soprattutto quelli dell’edilizia). Ad esempio nei grandi uffici c’è molta carta di buona qualità, i supermercati sono pieni di cartone e umido, che potrebbe diventare compost, così come i ristoranti di bottiglie e lattine.
POLI – Ritengo ci sia un problema di disinformazione a livello legislativo: la gestione dei rifiuti urbani compete al pubblico (Comuni, Consorzi di Comuni… ), mentre la gestione dei rifiuti industriali è a carico delle aziende produttrici e di servizio. Dunque la raccolta differenziata degli urbani (prodotti da tutti i cittadini) interessa tutti i cittadini che devono attuarla secondo le scelte, le disposizioni e i metodi stabiliti dall’ente pubblico. Per i rifiuti industriali, di competenza delle singole aziende, esiste già un circuito di recupero e riciclo al quale le aziende normalmente si rivolgono, conferendo in maniera differenziata gli scarti di produzione; anche perché, conferendo a recupero e riciclo, hanno un indubbio vantaggio economico. se ricordo bene, i dati Arpav per il 2010 davano una percentuale sopra l’80% di conferimento a recupero dei rifiuti industriali.
Rifiuti industriali, ma anche rifiuti speciali o scarti di ospedale: come si possono gestire, allora, in modo più virtuoso per evitare che, pur contendendo parti riciclabili, vengano conferiti senza differenziare?
CONNET – Iniziamo con i rifiuti ospedalieri: carta e umido possono essere trattati normalmente, mentre quel 10% di materiali che risulta infetto (pensiamo alle siringhe) presenta grandi rischi, e va separato dal resto. C’è un bel gruppo in Europa chiamato “Health care without harm” che si batte per ridurre la quantità di mercurio e PVC (plastica vinilica) utilizzata negli ospedali e, se incenerita, fonte di pericolose diossine. Per i rifiuti industriali abbiamo bisogno di una produzione più pulita: in futuro bisogna evitare di usare certi metalli tossici come mercurio, piombo, cadmio, altri prodotti con cloro e fluoro, plastiche come il PVC con clorine. sono tutti materiali che negli inceneritori liberano diossine. Questo obiettivo deve costituire un “contratto sociale” tra i governi e i cittadini: abbiamo una pesante eredità di rifiuti tossici e industriali, e la tentazione da parte dei governi è quella di imporre la costruzione di inceneritori o impianti simili; l’unica alternativa resterebbero una politica aggressiva in favore della produzione pulita o la cessazione alla fonte della produzione di prodotti nocivi e di difficile smaltimento.
POLI – Concordo che i rifiuti speciali e ospedalieri siano un problema: non si dovrebbero produrre “a monte”. sono in corso diverse sperimentazioni, e sono in fase di studio sistemi che consentono l’abbattimento della pericolosità e del carico inquinante per minimizzare l’impatto e la nocività di questi composti. Alcuni considerano questi materiali conseguenza e costo del benessere di cui godiamo, mentre altri ritengono che si potrebbe evitare di produrli quasi del tutto cambiando stile di vita.
“Plastic planet”, recente film documentario, dimostra che la nostra vita e l’ambiente sono invasi dalla plastica, tanto che è ormai stata inglobata nella catena alimentare. Un futuro senza plastica è immaginabile?
CONNET – Non ho visto il documentario, ma immagino quale sia il messaggio. Conosco il “mare di plastica”, una zona immensa nel Pacifico, tra America e Giappone, del diametro di 2.500 chilometri, dove nuotano oggetti di plastica di ogni tipo; e conosco l’impegno di Charles Moore nel tentare di arginare gli effetti di questa discarica a cielo aperto. Dobbiamo essere molto più razionali nell’utilizzo della plastica, perché può durare anche centinaia di anni.
POLI – Il futuro è ciò che costruiamo giorno dopo giorno, e diventa presente per chi arriva dopo di noi. Pensare a una repentina rivoluzione del sistema è utopia, mentre il miglioramento è sicuramente possibile, ed è già in atto. sicuramente l’impegno di quanti si dedicano al recupero e riciclo di materiali va in questa direzione.
Un esponente di un’azienda locale che ancora incenerisce i rifiuti ci ha rivelato di sapere che questa pratica è sbagliata, perché è materiale che non si può più utilizzare, e di essere convinto che le discariche saranno le miniere del futuro… è così?
CONNET – sì, ma, visto che lo sappiamo, perché allora non immagazziniamo separatamente invece che alla rinfusa ciò che non riusciamo a riciclare? La domanda di materiale continuerà a salire, salire e salire, perché la popolazione continua ad aumentare, e alcuni grandi Paesi come India, Cina e Brasile si stanno industrializzando rapidamente. Ma chi ha costruito gli inceneritori sembrerà molto sciocco tra qualche anno, perché si renderà conto di aver bruciato dei materiali che in realtà avrebbe potuto vendere guadagnandoci di più.
POLI – Vorrei davvero potermi confrontare con questa persona, perché, già dai primi anni ’90 e in diverse occasioni sia in Italia che all’estero, ho partecipato al tentativo di recuperare materiali da discariche “rivisitate”, ovviamente dopo il periodo di assestamento. I risultati sono stati davvero deludenti oltre che molto, molto costosi (si parla infatti di bonifica delle discariche chiuse!). Rimango nella mia convinzione che per recuperare i materiali e avviare le filiere di recupero e riciclo occorre agire “a monte” nella fase di raccolta, appunto differenziata.
Il Centro Riciclo Vedelago è diventato sinonimo di modello vincente. Perché in Italia, e in Veneto, questo modello non viene adottato da tutti?
CONNET – Per vari motivi: si tratta di un’azienda relativamente piccola, e non ha il sostegno massiccio della politica. Anzi, molti politici sono a favore dell’incenerimento, e il Centro è una minaccia in questo senso. In secondo luogo temo che, se non stiamo attenti, questa struttura potrebbe sviare l’attenzione dalla necessità che esiste di migliorare il design industriale: sì, magari è possibile trovare altri usi per alcune plastiche, ma si toglie l’attenzione dal fatto che molte di quelle plastiche non dovevano nemmeno essere prodotte. Quindi il Centro Riciclo Vedelago andrebbe visto come un centro di selezione e di ricerca, che può aiutare a separare i rifiuti, a studiare la parte residua non riciclabile e a riutilizzare la parte riciclabile. Ma è importante che non dimentichi di dire che questi materiali non si dovrebbero produrre.
POLI – Direi che il sistema implementato dal Centro Riciclo Vedelago, riconosciuto come Eco. Innovation dalla Comunità Europea, consente di implementare nelle varie situazioni territoriali un circuito economico sostenibile finalizzato al recupero di materiali non rinnovabili ancora utili nel ciclo produttivo, con beneficio anche di ordine economico per gli utenti. stiamo collaborando fattivamente con le diverse realtà che condividono e intendono applicare il sistema.
Cosa si può ancora migliorare del “modello Vedelago”?
CONNET – Va inserito in un contesto più grande; inoltre si dovrebbe dare priorità al centro ricerca, e dedicare una parte di esso alla strategia “rifiuti zero”.
POLI – Lo studio e la sperimentazione ai fini del miglioramento dei processi è sempre stato alla base dell’attività del Centro Riciclo Vedelago. Credo che il miglioramento sia sempre possibile, se condiviso e attuato con tutte le parti interessate.