iber_62320_web_339163-300x225L’Italia non esiste

 Di Antonio Musella

Un paese in cui subalternità e senso di superiorità pervadono la società nelle fondamenta. Ed anche quando si parla di come il modello di sviluppo ha ridotto i nostri territori da Nord a Sud, una parte del paese riesce ad esprimere solo pietà verso quelli di sotto. Intanto credi di non appartenere ad una comunità che fa della nazione e della tradizione un valore … salvo poi scoprire che anche quelli come te non stanno tanto bene.

  

E’ inutile che ci giri tanto intorno: l’Italia non esiste.

Non c’è niente di nostalgico in questa affermazione. Non è questo l’articolo delle analisi sul neo colonialismo, delle riflessioni socio economiche sul Mezzogiorno dall’Unità d’Italia ad oggi. Non è nemmeno il pezzo in cui comincio a citare il maestro Luciano Ferrari Bravo ed il suo straordinario “Stato e sottosviluppo”. Non vi esporrò la declinazione della nuova subalternità.

Vi racconto una storia. Perché quando si affrontano grandi questioni, quando si fa il mestiere che faccio, quando si viaggia da Nord a Sud, osservi davvero il paese in cui vivi e le storie, gli aneddoti e gli episodi contano molto di più di ogni analisi.

Quando insieme ad Andreina Baccaro abbiamo cominciato a scrivere “Il paese dei veleni” lo abbiamo fatto perché sentivamo un insostenibile alone di “etnicizzazione” della questione inquinamento nel nostro paese. “E’ un problema del Sud” gracchiava la vulgata del main stream e dei grandi opinion maker del belpaese. Che poi belpaese non è ma – appunto – è un paese dei veleni, dal Friuli al Piemonte, dall’Emilia Romagna alla Lombardia, dalla Toscana al Lazio e poi si … anche in Campania, Puglia, Basilicata.

Poi il movimento Stop Biocidio ti investe, con la gioia di una scommessa azzeccata, con un entusiasmo collettivo che coinvolge anche i tuoi fratelli e sorelle di sempre. Una fase nuova che li vede protagonisti finalmente. E tu sei convinto di aver dato un contributo facendo il tuo lavoro a far comprendere che i veleni, i tumori, l’inquinamento, le produzioni di morte, il modello di sviluppo, sono un problema di tutti, che ha una dimensione non sono nazionale ma europea.

Ma il dibattito su questo tema spesso lascia spazio a delle posizioni singolari, che non mi sentirei di definire – con un linguaggio politically correct – “discutibili”, ma preferirei una definizione più diretta tipo: “idiozie”.

Arriva un senatore della Lega, un certo Arrigoni, e ti dice che “è tutto da dimostrare che l’inquinamento in Campania sia dovuto allo smaltimento dei rifiuti delle industrie del Nord”. E te lo dice in faccia che tu proprio … se non stessi lavorando … beh … lasciamo stare.

Poi arriva un’azienda che fa le passate di pomodoro in Lombardia, dove la terra è imbottita di diossine e PCB, e ti dice che la garanzia della qualità dei suoi prodotti è che non sono coltivati in Campania. Arriva un camorrista pentito, quindi un doppio criminale, che ti dice che lui ha contribuito ad avvelenarti sversando i rifiuti delle fabbriche del Nord. La cosa che reputi incredibile è che viene acclamato come un eroe. Nessuno forse si è soffermato sulla sue affermazioni, come quando dice ha vuotato il sacco per i suoi figli “che sono ragazzi che hanno una mentalità da ragazzi del Nord”. Già noi invece saremmo dei fessi.

Come se non bastasse arrivano altri “scienziati” come tale Fabrizio Rondolino che leggi essere stato anche lui un consulente di D’Alema, che ti dice che il problema è che noi in Campania ci siamo inquinati da soli e quindi è un problema nostro.

Ti dici che infondo tutta sta gente è dentro un enorme gioco di potere. Sono la controparte, hanno la coscienza sporca e provano ad autoassolversi. Poi cominci a girare il paese raccontando le storie dei veleni e ti consola vedere che chi è dalla tua parte, seppur qualche volta con fatica, comprende la portata della questione. Ma tra i lettori sono troppe le facce che vedi mostrarsi con un velo di pietà. E’ come se fossero lì ad ascoltarmi mentre parlo di veleni e malattie ed una nuvoletta gli si formi sulla testa con all’interno la scritta “poverini questi terroni, che pena che fanno”. Un pietismo che si legge negli occhi, nelle parole, nei comportamenti.

Ti viene rabbia. Ma proprio tanta. Allora cominci ad assumere un atteggiamento diverso e cominci con il raccontare i veleni che sono sotto i loro occhi quelli di casa loro. Il loro sguardo non cambia è sempre lo stesso. Comprendono, sanno che i veleni della loro terra esistono e minano la loro esistenza, ma continuano a guardarti come quello che “ha il problema grosso”.

Pensi che comunque forse sei anche tu un po’ complessato. Forse hai un pregiudizio.

E’ una cosa insopportabile pensare di avere un pregiudizio.

Ma come? Io che sono stato comunista e..e..forse lo sono ancora ho pregiudizi? Proprio io!?

Allora ci pensi anche quando prendi i treni. Da solo. Perché ascoltare i discorsi di chi parla in treno è pedagogico. Capisci cosa pensa la gente davvero. Ed ogni treno che prendi ti accorgi che i discorsi tra le persone arrivano sempre all’argomento dei veleni.

“Signora mia, ma cosa mangiamo ormai?”. E’ un classico.

La discussione comincia ed alla fine in quelle parole ritorna quel senso di pietismo. Un misto di autoassoluzione – “beh anche loro che non hanno protestato quando li inquinavano” – e di becera pietas cristiana – “poverini quei bambini in quelle condizioni”.

Davvero quando senti queste cose la pressione ti sale. Vorresti fermare il treno e spaccare la faccia a tutti e tutte. Ti prudono proprio le mani.

Come quando senti su un treno regionale in Toscana due signore che parlano del Meridione e dei veleni.

Una è più anziana e spiega all’altra che i meridionali quando emigrano diventano brave persone, sono disponibili, sono gentili, si danno da fare e lavorano. Ma poi se stanno a casa loro diventano prepotenti e truffaldini e soprattutto non vogliono fare niente.

La più giovane ribatte che “è vero è proprio così” e che lei ne conosce diversi di “meridionali che sono venuti qui da noi”. La discussione assume i toni di una chiacchierata sulla razza dei cani.

Ti si annebbia proprio la vista ed allora per calmarti cominci a parlare a te stesso e ti ripeti che “io non credo nella nazione, io non credo nei confini, Italia vaffanculo! Io credo in una comunità internazionale unita da un’idea di società, fondata sulla solidarietà, sulla ridistribuzione della ricchezza, sull’antifascismo, io credo in questo e non nella patria e nella tradizione” .

Ti ripeti queste cose per rassicurarti, per dire a te stesso che “no tu non hai nulla a che fare con questa gente”.

Poi la più giovane chiede alla più anziana, che ha un evidente accento bolognese, di cosa si occupa nella vita.

“Io vengo da Marzabotto conosce? Dove c’è stato l’eccidio nazista”.

La più giovane annuisce.

“Io ho speso una vita nella costruzione di una memoria antifascista del mio territorio, ho fatto l’insegnante, ed ora che sono in pensione scrivo libri sulla resistenza”.

“No l’Italia non esiste … e non sono più tanto sicuro che esistano anche tutte le altre cose”.

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